Pubblica uno sfogo sui social, poi è costretto a cancellarlo. Chef famosissimo esasperato: “Sono uno schiavo dei miei dipendenti”.
È costretto a cancellare il post. A pochi minuti dalla pubblicazione riceve una valanga di minacce di morte. La sua riflessione però è condivisa da molti.
Qualcosa non sta funzionando. “Sono schiavo dei miei dipendenti” – le sue parole. Un pensiero incorniciato da una rivendicazione del significato di diritto, che non può prescindere dal concetto di dovere.
“Pochi doveri e tantissimi diritti”. Sono le parole dello Chef Paolo Cappuccio, che da cinque anni si sente schiavo dei suoi dipendenti. Giovani che si presentano con le “braghe calate”, che danno immediatamente del tu al datore di lavoro senza che quest’ultimo glielo abbia permesso, orari di lavoro forzatamente flessibili e ricatti. Anche la reazione al rimprovero lascia a desiderare: “Sai cosa rispondono?” – continua – “Che se li mando via dovrò comunque pagarli fino a fine stagione”.
Da un estremo all’altro. Nella serie tv The Bear, disponibile su Disney+, il mondo della gastronomia viene rappresentato in tutta la sua frenesia e pretenziosità. Responsabili che urlano a pochi centimetri dal volto delle nuove leve, pressione ai massimi livelli e stato d’angoscia costante. All’interno di alcune cucine si lavora ancora così. E quando gli ultimi arrivati si ribellano, si manifesta la massima comprensione dai soggetti esterni all’ambiente di lavoro.
La negligenza però non è la risposta. “Da decenni gestisco brigate in giro per l’Italia e dopo il Covid abbiamo perso il controllo dei dipendenti” – la denuncia di Cappuccio – “siamo passati alla schiavitù degli anni 90 al fancazzismo più totale”. Da qui nasce lo sfogo, poi cancellato, pubblicato sui social. Pubblica un annuncio di lavoro, ma sottolinea chiaramente a chi è rivolto e soprattutto a chi non è rivolto.
Esclusi i comunisti, soggetti dipendenti da droga e alcol, orientamenti sessuali ambigui, master chef del “c****” e affini. Testuali parole utilizzate dal cuoco. Le minacce di morte arrivano così a valanga, così come le prevedibili arringhe che difendono l’inclusività. È così costretto a rimuovere il post dalla bacheca. Chiede scusa tra le pagine del Corriere della Sera, definendolo uno sfogo, e poi rivendica quanto affermato al Giornale.
Insomma, si tratta di una riflessione che non si può dire ad alta voce, ma a pensarla come lui sono molte più persone del previsto.
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